ⓒ Fotografia Guido Mencari
ITA
CREDITS
Ideazione, coreografia, spazio Virgilio Sieni
Interpreti Jari Boldrini, Claudia Caldarano, Maurizio Giunti, Lisa Mariani, Andrea Palumbo, Emanuel Santos
Musica originale Fabrizio Cammarata
Luci Andrea Narese e Virgilio Sieni
Costumi ed elementi scenici Silvia Salvaggio
Maschere Chiara Occhini
Produzione
Centro di Rilevante Interesse per la Danza Virgilio Sieni
Fondazione Teatro Piemonte Europa
Fondazione Teatro Metastasio di Prato
Spettacolo liberamente ispirato al romanzo Cecità di José Saramago
«Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, ciechi che, pur vedendo, non vedono»
J. Saramago
Incombe sulla terra una tragedia immane che rovescia il modo di stare. Un virus sconosciuto agisce togliendo la vista alle persone. Comunità e individui perdono apocalitticamente quello che credevano di possedere e vedere. Tutto è improvvisamente immerso in un biancore luminoso che assorbe come per divorare non solo i colori ma le cose stesse e gli esseri, rendendoli così, doppiamente invisibili.
Quel mare di latte nel quale sono caduti gli abitanti del mondo, li rende sgomenti e impauriti, vulnerabili agli odori e alle esalazioni, li costringe ad apprezzare il pianto e le lacrime, le impronte e il tocco della mano. In questo stato di eccezione un piccolo gruppo si allea per condividere le vie di fuga e il nuovo mondo. Tra di loro una donna non ha perso la vista, ma dovrà rimodulare ogni dettaglio del suo comportamento per coesistere con la vista, per domandarsi a cosa serve vedere.
In questo poema della morte e della sofferenza, il corpo avanza con tutta la sua biologia e le emozioni emergono da gesti nuovi, ritrovati, reimparati. Gli interpreti, come testimoni di questo evento, si ritrovano a toccare lo spazio, a essere toccati dai luoghi, ad ascoltare le tracce del suolo e le onde sonore che vagano nell’aria. La ricerca drammaturgica procede avviando una ricostruzione del corpo che dalla cecità si muove verso una condizione di novità che obbliga a vivere le cose diversamente e ad elaborare strategie di sopravvivenza -o più semplicemente- di rieducazione allo sguardo.
Lo spazio esplorato si compone secondo la scoperta di dettagli tattili e sensibili dove la vista passa in secondo piano, dove il tatto ricrea una nuova percezione di sé, dell’altro e dell’abitare. I comportamenti disperati, desueti, drammatici, malvagi, alla deriva, selvaggi, rispondenti all’istinto animale agiscono come uno scavo profondo portando alla luce ciò che è più umano come l’amicizia e la solidarietà. L’essere bipede umano diventa molto spesso quadrupede, serpente che striscia, cucciolo che si rannicchia, belva brutale che si scuote. Toccando le cose e gli altri elabora nuove posture ed emozioni. Nel biancore accecante della scena tutto si svela di nuovo: emerge quello che prima era presente ma nascosto.
La danza nasce da un ritorno allo spostamento, da una migrazione interiore. Il corpo e le sue parti divengono sede assoluta di ripartenza: si procede con un lento camminare e strisciare, si volgono le mani libere per toccare, si dispiegano gli arti per difendersi, per procurarsi il cibo e lavarsi, per uccidere e curare i morti, ma anche per abbracciare un cane e sentirsi in una profonda e complice simbiosi tra esistenti.
Le necessità biologiche inscritte nel comportamento del sapiens esplodono in questo farsi complici e comunità: cibarsi, accudire il più debole, difendersi a tutti i costi. Una condizione che fa emergere una natura schematizzata e malvagia che sorprende e che rovescia la percezione sugli altri e le cose. I danzatori, come portatori di questa nuova essenza, agiscono ricreando una nuova mappa percettiva dell’ambiente, della città, scoprendo le potenze antiche -forse perse- che oggi richiamano alla cura del suolo e del territorio secondo una visione che è, come scrive James Hillman “anima”, “atmosfera”, natura”, “genio del luogo”: sotto un albero, vicino a una pozza d’umido, presso una sorgente, accucciati in angolo, lungo una parete liscia, affidati ad una spalla.
Aprire gli occhi tutte le volte per vedere di nuovo.
Con Cecità si esplora quello stato di mancanza che risveglia la vita delle cose facendole sbalzare fuori dalla quotidianità, ricercando un’essenza che ricorda che prima di tutto siamo natura, una natura che reagisce a noi, capace di distruggere noi.
Siamo fatti di agenti e presenze che gemendo ci richiamano e la danza incarnata nei corpi risponde, restituendosi nella sua intraducibilità rituale. L’attenzione è su quello che già è qui, sul movimento musicale come tensione che coinvolge tutte le facoltà umane, per essere semplicemente vivi, per creare e ricreare quell’esperienza di iniziazione al movimento. Non sempre sappiamo cosa ci muove, l’arte della danza non svela ma attraversa, unendosi ogni volta alla natura, interrogandosi dell’infinito che ci avvolge, prendendosi per mano.
TOUR
Bruxelles (Belgio), Festival Legs, La Raffinerie, 29 marzo 2025
Potenza (PZ), Città delle 100 scale Festival, 10 dicembre 2024
Pesaro (PU), Teatro Rossini, Pesaro Danza Focus Festival, 18 maggio 2024
Genova (GE), Teatro Ivo Chiesa, 17 aprile 2024
Rovereto (TN), Teatro Zandonai, 26 marzo 2024
Napoli (NA), Teatro Mercadante, 2 e 3 marzo 2024
Bari (BA), Teatro Piccinni, 3 febbraio 2024
Perugia (PG), TSU Teatro Morlacchi, 22 novembre 2023
Prato (PO), Teatro Fabbricone, dal 14 al 19 novembre 2023
Torino (TO), Teatro Astra, dal 7 al 12 novembre 2023 – prima assoluta
ENG
CREDITS
Conception, choreography, space design Virgilio Sieni
Perfomed by Jari Boldrini, Claudia Caldarano, Maurizio Giunti, Lisa Mariani, Andrea Palumbo, Emanuel Santos
Music Fabrizio Cammarata
Lighting Andrea Narese and Virgilio Sieni
Costumes and scenographic elements Silvia Salvaggio
Masks Chiara Occhini
Production
Centro di Rilevante Interesse per la Danza Virgilio Sieni
Fondazione Teatro Piemonte Europa
Fondazione Teatro Metastasio di Prato
Loosely based on the novel Blindness by José Saramago
≪I don’t think we did go blind, I think we are blind, Blind but seeing, Blind people who can see, but do not see≫
J. Saramago
An immense tragedy is looming over the planet, disrupting its entire way of being. An unknown virus takes away people’s sight. Communities and individuals apocalyptically lose what they thought was theirs, to own and to see. Everything is suddenly immersed in a bright milky whiteness that seems to devour not only colors, but things and beings themselves, making them doubly invisible.
That milky sea into which the world’s inhabitants have fallen leaves them bewildered and frightened and vulnerable to odors and fumes, forces them to appreciate crying and tears, fingerprints and the touch of a hand. In this state of exception, a small group bands together to find an escape route and a new world. Among them is a woman who has not lost her sight, but who must alter every detail of her behavior to coexist with sight, to ask herself what seeing is for.
In this poem of death and suffering, the body advances with all its biology and emotions emerge from new, re-found, relearned gestures. The performers, witnesses to this event, find themselves touching space, and being touched by places, listening to signs from the ground and sound waves drifting in the air. The dramaturgical experiment proceeds, launching a reconstruction of the body that moves from blindness towards a new condition that forces it to experience things differently and to develop strategies for survival, or, more simply, ways to reeducate the gaze.
The explored space is re-composed through the discovery of tactile, perceived details, with touch creating a new perception of the self, of the other and of life. Desperate, outmoded, dramatic, evil, aimless, savage behaviors responding to animal instincts dig deep, bringing to light more human things, like friendship and solidarity. The biped human often becomes quadruped, a crouching puppy, a brutal beast shaking itself, or a slithering snake. Touching things and others, it elaborates new postures and emotions. In the blinding whiteness, everything is revealed once again: what before was present but hidden now emerges.
Dance arises from a return to a displacement, an inner migration. The body and its parts become the locus of re-departure: slowly pacing and crawling, hands reach to touch things, limbs stretch out for defense, to get food and to wash, to kill and to tend the dead, but also to embrace a dog and feel a profound, collaborative symbiosis among beings.
The biological needs etched into sapiens’ behavior burst through in this process of becoming accomplices and communities: feeding, caring for the weakest, defending ourselves at all costs. A condition that brings out a schematic, evil nature that surprises us and upsets our perception of others and things. The dancers, as bearers of this new essence, act by creating a new perceptive map of the space and the city, discovering ancient – perhaps once-lost – potentials that now call us to care for the land and the territory, in keeping with a vision that is, as James Hillman writes, “soul”, “atmosphere”, nature”, “genius loci”: under a tree, near a waterhole, near a spring, crouching in a corner, a trusting shoulder against a smooth wall.
Opening their eyes every time to see again.
Blindness explores the state of absence that reawakens the life in things, shoving them out of their everyday places, seeking an essence that reminds us that we are, first and foremost, nature – a nature that reacts within us and is capable of destroying us.
We are made up of agents and presences that call to us, whimpering, and the dance embodied within us responds, offering itself in an untranslatable ritual. The focus is on what is already here, on musical movement as a tension that engages every human faculty in simply being alive, creating and recreating the experience of initiation to movement. We don’t always know what moves us – the art of dance does not reveal, but traverses, uniting us with nature, questioning the infinite that surrounds us, taking us by the hand.
CONTACT
TOUR / PRODUCTION DANIELA GIULIANO
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